My movies: Yellow Cat

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L’animale che dunque sono”, Jaques Darrida.
 
     - “Cosa sai fare, Kermek?”-
     - “So fare Tutto”-
 
Kermek è il protagonista di GATTO GIALLO dell’uzbeko Adilkhan Yerzhanov, che porta in Orizzonti - a Venezia 77- uno sguardo personalissimo e immaginifico da lande diradate di steppa. 
Fin da subito aleggia Kitano, nelle sequenze che ritraggono Kermek a colloquio coi gestori di uno spaccio dislocato in mezzo a radure immense. In quel nulla carico di natura delle pianure estremo orientali, (che quasi quasi vorrebbe tanto essere un fast-food americano con le divise accese di rosso) in questo spaccio, in questo spazio, Kermek risponde - “So fare le scene di Le Samouraï con Alain Delon”- 
E fin dall’inizio, o quasi, del primo lungometraggio di Yerzhanov ci si accorge di almeno due cose. 
La prima è che siamo di fronte ad un personaggio che sta tra Rodari e Celan; la seconda è che il Cinema, sia come luogo che come archetipo ideale, contaminerà tutta la narrazione. 
GATTO GIALLO è la storia dei giovani Kermek ed Eva - lui ex detenuto, lei prostituta - che decidono di epurare le loro vite vita dal crimine e realizzare il sogno di costruire un cinema sulle montagne. Una fuga dalla realtà che purtroppo però deve fare i conti con la stretta impietosa della mafia.
Kermek ed Eva sono i “sopravvissuti provvisori” di Jacques Derrida, che vorrebbero ricreare il mondo ex nihilo, in un’ipotesi anche passeggera di poesia. Perché la poesia ha la necessità di sopravvivenza oltre l’errore, e oltre. Anche oltre l’orrore. Sul piatto però pesa il destino e il suo ordine implacabile. Anche se si cena senza vino, anche se ci si inventa il mare nella steppa.
Yerzhanov consegna allo spettatore poche cose. Ma fila dritto al punto  nel quale la ragione lascia il posto ai desideri, al sogno, alla sensualità del momento presente, senza dimenticare il confine tra bene e male. E come i fauvisti basa tutto sulla semplificazione delle forme a discapito della parola, sull’immediatezza dell’immagine, sull’autonomia del sogno. Il cineasta consegna poche cose nell’apparenza, perché la sua pellicola è densa di sottostesti e luoghi propri del cinema d’autore: le regole del noir calate in un climax socio-antropologico differente. Del resto Jean-Luc Godard diceva che per fare un film bastano una donna e una pistola. Kermek aggiunge un ombrello per cantare Singing in The Rain davanti alla sua Eva nel cinema allestito sulla montagna. Ma GATTO GIALLO non è un film da raccontare, è un film da vedere.
Perché dialoga attraverso gli occhi con l’inanimato del cuore, su un prato folle, a lasciare orme di storie possibili per generazioni che verranno. 
Mentre brucia, intorno, l’ineluttabile. 
 
E risuonano i versi di Paul Celan in “Salmo”

Nessuno c’impasta di nuovo, da terra e fango,
nessuno insuffla la vita alla nostra polvere.
Nessuno.
 
Che tu sia lodato, Nessuno.
E’ per amor tuo
che vogliamo fiorire.
Incontro a
te.
 
Noi un Nulla fummo, siamo, reste-
remo, fiorendo:
la rosa del Nulla,
la rosa di Nessuno.
 
Con
lo stimma anima-chiara,
lo stame ciel-deserto,
la corona rossa
per la parola di porpora
che noi cantammo al di sopra,
ben al di sopra
della spina.